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Consiglio Europeo di Tampere 15 - 16 ottobre 1999

Documento relativo all’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di Applicazione dell’Accordo di Schengen

Documento relativo all’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di Applicazione dell’Accordo di Schengen

Consiglio Europeo di Tampere 15 - 16 ottobre 1999

INDICE
Dichiarazione Europea dei Diritti Umani
4 novembre 1950
Convenzione Europea dei Diritti Umani
Aggiornamento al 1 gennaio 1990
Consiglio Europeo di Tampere
15 - 16 ottobre 1999
Proposta di direttiva del Consiglio dell'Unione Europea
Comitato di Schengen - Indagine conoscitiva
Cnferenza sulla sicurezza e la cooperazione - Helsinki 1975
Comitato di Schengen

Documento relativo all’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di Applicazione dell’Accordo di Schengen

INTRODUZIONE

1. Valutazione dell’attività svolta dal Comitato

Costituitosi alla fine di marzo di quest'anno, il Comitato Parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen ha praticamente iniziato la propria attività avviando l'indagine conoscitiva in oggetto. Quindi, la valutazione del ruolo svolto nei primi mesi di attività, non può che derivare dall'analisi degli elementi di conoscenza acquisiti nel corso delle audizioni e dei sopralluoghi effettuati.

Si tratta di una serie di elementi che, con tutta probabilità, nessuno nel nostro Paese ha mai avuto modo di raccogliere ed ordinare: disposizioni legislative, norme regolamentari, forze impegnate, piani dettagliati, strumenti, mezzi terrestri ed aeronavali. Ma anche competenze, professionalità e modalità d'azione.

Il punto di partenza è stato un quesito elementare: perché l'Italia, pur avendo aderito fin dal 1990 all'Accordo di Schengen ed alla sua Convenzione di applicazione, pur partecipando anche degli impegni finanziari che ne derivano, non è ancora riuscita ad 'entrare' operativamente nello spazio di libera circolazione delle persone in essere dal 25 marzo '95?

Quando, più volte, a livello parlamentare, il quesito veniva posto, le risposte dei vari Ministri e Sottosegretari avvicendatisi risultavano sempre dello stesso tenore: ritardi nell’adeguamento legislativo e problemi tecnici ai posti di frontiera.

Così, il Comitato parlamentare di controllo ha deciso di andare a verificare questi ritardi e queste inadeguatezze.

Dal punto di vista normativo è emerso, subito e con chiarezza, che negli anni la lacuna maggiore era rappresentata dal mancato adeguamento della legislazione italiana in materia di protezione dei dati di natura personale, così come previsto dagli artt. 126-130 della Convenzione di applicazione. Lo scopo di questa obbligazione era quello di garantire uno standard di riservatezza, nel trattamento automatizzato dei dati personali, in linea con i principi di un'altra Convenzione, quella del Consiglio d'Europa del 28 gennaio 1981 cui pure l'Italia aveva aderito.

Il Parlamento italiano ha finalmente colmato tale lacuna con la legge n°675 del 31 dicembre 1996 sulla "tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personali" che ha dato vita anche all'Autorità di garanzia, presieduta dal Prof. Stefano Rodotà che, nella sua audizione di fronte al Comitato, ha dato un prezioso contributo su uno degli aspetti più delicati del sistema Schengen: la tutela della privacy.

Risulta più difficile, invece, ricondurre ad unità i variegati ritardi tecnici accumulati nell'adeguamento dei posti frontiera e delle nostre sedi diplomatiche all'estero, in particolare di quelle investite di una maggior numero di richieste di visti di ingresso nel nostro Paese.

Volendo, comunque, fare uno sforzo in questa direzione, e lasciando da parte problemi di disponibilità di mezzi e di aggiornamento tecnico-professionale del personale addetto, si può dire che i problemi maggiori hanno riguardato il collegamento informatizzato delle sedi consolari con la Farnesina e dei valichi di frontiera con il CED di Castro Pretorio.

Dai sopralluoghi a campione effettuati è emerso che, in questi ultimi mesi, anche i più remoti posti di frontiera sono infine stati collegati, anche se in talune realtà qualche impedimento ancora sussiste nel raccordo funzionale tra server e apparecchi terminali, e non sempre i 'palmari' paiono gli strumenti più idonei alla bisogna.

Indubbiamente, fra le varie realtà osservate, gli aeroporti sono risultati i posti di frontiera in più avanzata fase di adeguamento tecnologico ed infrastrutturale. Le realtà, insomma, in cui sia le autorità di frontiera sia le stesse società di gestione hanno prodotto gli sforzi più ragguardevoli, sia in termini strutturali che infrastrutturali, per essere pronti alla scadenza del 26 ottobre prossimo.

Sembra, quindi, di poter affermare, sebbene si tratti di una valutazione su cui è aperto il confronto, che la quantità e la qualità di materiale acquisito e la serie di informazioni e suggerimenti raccolti siano da considerarsi un positivo riscontro del lavoro avviato dal Comitato.

2. Valutazioni in merito all'applicazione, da parte italiana, degli accordi di Schengen Parlare di applicazione in Italia degli accordi di Schengen significa, allo stato attuale, parlare di un divenire, di un processo in corso. Lo si può, dunque, fare in prospettiva, prevedendo una positiva conclusione del confronto in atto, e lo si può fare avendo presente che comunque di una prima progressiva applicazione si tratterà il prossimo 26 ottobre.

Perché? Perché nonostante l'Italia abbia saputo recuperare ogni ritardo sul piano legislativo e normativo, così come ha saputo portare ad un elevato grado di informatizzazione le strutture strettamente interessate all'attuazione degli accordi, sembra permanere una sorta di riserva 'psicologica' nei nostri partner per quanto riguarda l'affidabilità, o fors'anche la volontà politica, dei controlli alle nostre frontiere, quelle che diventeranno le frontiere comuni dello spazio Schengen.

Non si riesce a spiegare, altrimenti, quella sorta di resistenza che ancora nelle ultime settimane si è registrata, soprattutto, da parte di rappresentanti della Germania e dei Paesi Bassi, nei confronti di una previsione (sanzionata una prima volta nel Comitato Esecutivo del 19 dicembre 1996 del Lussemburgo e ribadita ancora a Lisbona lo scorso 24 giugno) che vedeva l'Italia entrare operativamente nel sistema Schengen "al più tardi" nel prossimo ottobre. Una resistenza che ha avuto bisogno di un supplemento di azione diplomatica da parte del nostro Governo, culminata nel vertice di Innsbruck del 19 luglio, a cui hanno partecipato il Presidente del Consiglio Prodi, il Cancelliere Kohl ed il Primo Ministro austriaco Klima, accompagnati dai rispettivi Ministri degli Interni, a cui ha fatto seguito l'incontro bilaterale (alla fine di agosto) fra il nostro Ministro Napolitano ed il Ministro degli interni francesi Chévènement.

Tale iniziativa diplomatica, appunto, è riuscita ad ottenere un primo risultato (parziale ma comunque significativo): l'ingresso dell'Italia nello spazio aeroportuale Schengen, ovvero la derubricazione a voli interni di tutti quelli provenienti da, e in partenza per, aeroporti di Stati firmatari dell'accordo. Senza più la necessità, quindi, di sbrigare pratiche doganali e nemmeno di presentare passaporti od altri documenti di identità da parte dei viaggiatori in transito. Un risultato che aumenta di valore se lo si aggiunge all'operatività, in essere dal 1° luglio scorso con il caricamento dei dati, dello scambio di informazioni fra il Central SIS di Strasburgo ed il National SIS di Castro Pretorio.

3. Giudizio complessivo sullo stato dei controlli alle frontiere italiane

La scelta dei posti di frontiera da 'controllare' è stata il frutto della più elementare delle esigenze: quella di raccogliere elementi di conoscenza e fare verifiche sul 'campo' sapendo che un porto presenta caratteristiche e problemi assolutamente diversi da quelle di un aeroporto, per non parlare delle differenze con le problematiche che si creano presso un valico alpino.

Partendo, dunque, dalle specificità dei diversi posti di frontiera, l'indagine conoscitiva del Comitato parlamentare si è avviata - a margine delle audizioni a S. Macuto - puntando all'individuazione delle modalità in cui si esplica, effettivamente, il controllo di cose e persone in una frontiera di terra (è stata scelta quella con la Slovenia perché destinata a rimanere frontiera 'esterna' anche negli anni a venire), in due bracci di mare particolarmente trafficati ed anch’essi prospicenti paesi terzi (la costa pugliese e il Canale di Sicilia), in quattro aeroporti (Roma Fiumicino, Bari Palese, Venezia Tessera e Ronchi dei Legionari).

Il quadro che ne è emerso, e non poteva essere diversamente, è risultato quanto mai variegato. Le stesse norme di legge, in virtù del margine di interpretazione che consentono, vengono talvolta applicate con modalità non univoche. Molto dipende dalla possibilità di conoscere in anticipo il flusso di mezzi e passeggeri che in determinate ore di un determinato giorno possono affacciarsi ad un posto di frontiera. A Trieste, per fare un esempio, è impossibile anche solo immaginare (anche se possono aiutare i dati statistici) quanti pullman, quante automobili, quanti camion si presenteranno al posto di confine di Rabbuiese, né, a maggior ragione, conoscere la nazionalità dei passeggeri intra o extra Schengen. Diversamente, a Fiumicino si può arrivare a conoscere ora per ora, minuto per minuto il carico di passeggeri in arrivo ed in partenza per destinazioni intra- ed extra-Schengen. Di qui una minore difficoltà nella predisposizione dei servizi di controllo, una migliore distribuzione dei carichi di lavoro e, soprattutto, una più efficace azione di prevenzione e lotta all'immigrazione clandestina (ne fanno fede i dati relativi ai respingimenti ed alle espulsioni) ed ai traffici illegali.

Un dato comune è, comunque, emerso: la difficoltà che, nelle diverse realtà, si incontra per rendere effettivi i decreti di espulsione emessi dai Prefetti. Si può richiamare, a titolo esemplificativo, l'esperienza effettuata a Lampedusa, dove il respingimento alla frontiera degli immigrati sbarcati clandestinamente appare impraticabile, in assenza di collegamenti marittimi regolari di linea verso i paesi di provenienza dei clandestini stessi. A fronte di questa impossibilità pratica di applicare la procedura di respingimento, le forze di polizia non possono che raccogliere i 'naufraghi', rifocillarli ed accoglierli temporaneamente, in attesa di un traghetto per Agrigento. Qui, a fronte di stranieri privi di documenti e di mezzi di sostentamento, non può che scattare il provvedimento di espulsione che, però, offrendo quindici giorni di tempo per lasciare il Paese, si trasforma in una sorta di lasciapassare che permette a molti di risalire la penisola e di far perdere le tracce una volta giunti nella grandi città del nord. Come si vede, è un meccanismo paradossale , generato da un assetto normativo lacunoso, che inficia gravemente l’intero sistema dei controlli di frontiera, senza che ne derivino, peraltro, benefici reali ai migranti. Questi ultimi, infatti, dopo essere stati vittime di racket spietati (organizzazioni criminali verso le quali più stringente dovrà essere l'che hanno estorto loro somme ingenti, vengono condannati a una drammatica situazione di ‘non esistenza’ giuridica nel nostro paese o nel paese europeo di destinazione.

Non è nelle competenze del Comitato parlamentare Schengen scendere nel merito di queste problematiche, in questa sede le si possono soltanto evidenziare nella certezza che esse saranno adeguatamente affrontate nelle sedi istituzionali più appropriate. Parimenti, si può valutare adeguata l'azione di controllo che viene effettuata nei nostri diversi posti di frontiera, senza nascondere, con ciò, le difficoltà oggettive che derivano da uno sviluppo costiero di quasi 8.000 chilometri.

4. Prospettive di lavoro del Comitato parlamentare

Com'è del tutto evidente, in questa indagine conoscitiva, l'attenzione del Comitato parlamentare è stata assorbita pressoché esclusivamente dal tema (o problema) della libera circolazione dei cittadini, che del resto rappresenta la vera essenza degli accordi di Schengen. A nessuno, tuttavia, sfugge l'importanza che - ai fini di una compiuta applicazione degli accordi stessi - hanno i temi che attengono alla cooperazione di polizia nel campo della lotta al traffico delle armi e degli stupefacenti, alla cooperazione giudiziaria in campo penale, alle estradizioni, all'esecuzione delle sentenze, per non dire del trasporto e della circolazione delle merci.

Sono temi sui quali dovrà qualificarsi, nei prossimi mesi, l'attività del Comitato parlamentare che, nel contempo, dovrà continuare ad occuparsi della progressiva soppressione dei controlli alle frontiere intra-Schengen che, come si è detto, non si realizzerà in un’unica data ma vedrà una 'prima' libertà di circolazione negli aeroporti a partire dal 26 ottobre 1997, per completarsi entro il 31 marzo 1998 con l'abolizione dei controlli ai valichi terrestri con Francia ed Austria e nei porti interessati da navi e traghetti provenienti da Grecia e Francia principalmente.

Nel Documento viene dedicata specifica attenzione all'attività consultiva e conoscitiva che la legge di ratifica dell'Accordo attribuisce direttamente al Comitato parlamentare. Ma, con riferimento all'esperienza portata avanti in questi ultimi mesi, l'impegno di questo Comitato dovrà spingersi anche in direzione di una sempre più accentuata capacità di indirizzo nei confronti del Governo. E ciò, almeno per due buone ragioni: la prima che attiene all'originalità istituzionale dell’Italia, unico fra i Paesi firmatari ad essersi dotato a livello parlamentare di uno strumento ad hoc che rappresenta, probabilmente, l’esempio di più alta sensibilità democratica nell'attuazione degli accordi di Schengen.

La seconda ragione la si può ritrovare nella risoluzione del Parlamento europeo là dove, a proposito del futuro di Schengen, si dice esplicitamente che "il controllo parlamentare sul funzionamento dell'Accordo...potrebbe venire notevolmente migliorato grazie all'istituzione di un gruppo di concertazione, composto da rappresentanti delle commissioni competenti dei parlamenti interessati" e che lo stesso Parlamento europeo "auspica di essere associato a questa iniziativa"; il che sta a significare l'esigenza di un sempre più stringente e continuativo rapporto fra Parlamenti e Governi, anche al di là degli scambi di informazione previsti dalla legge di ratifica.

1. GLI ACCORDI DI SCHENGEN: QUADRO ISTITUZIONALE E ITER DI APPLICAZIONE

1.1 Gli Accordi di Schengen: genesi, contenuti e obiettivi

L’Accordo di Schengen ha avuto origine da una serie di iniziative sul tema della abolizione delle frontiere assunte da alcuni Stati della Comunità europea, tra cui devono essere ricordate le decisioni del Consiglio europeo di Fontainebleau del 15 e 16 giugno 1984, nelle quali si prospettava l’avvio di misure finalizzate alla soppressione delle formalità di polizia e di dogana, e la Convenzione sperimentale di Saarbrücken, siglata nel luglio 1984 tra Francia e Repubblica Federale di Germania con la quale veniva sancita l’applicazione graduale alle frontiere dei due Paesi di quanto deciso a Fontainebleau.

I tre Paesi del Benelux (Belgio, Lussemburgo e Olanda), che già da tempo avevano abolito i controlli alle frontiere reciproche, si mostrarono interessati all’accordo di Saarbrücken, il cui testo venne così rinegoziato tra i cinque partners. L’Accordo di Schengen, dal nome della piccola cittadina lussemburghese dove fu firmato il 14 giugno 1985, raggruppava dunque inizialmente cinque Paesi: Belgio, Francia, Germania Federale, Lussemburgo e Olanda. L’accordo del 1985 conteneva essenzialmente una dichiarazione di intenti, prevedendo però un metodo di attuazione e un calendario. In particolare, veniva prefigurata la creazione di uno spazio comune entro il 1° gennaio 1990 attraverso la progressiva eliminazione dei controlli alle frontiere sia delle merci sia delle persone. Ma appariva presto evidente che la soppressione dei controlli doveva essere accompagnata da "misure di compensazione", soprattutto in materia di sicurezza, attraverso una collaborazione in campi, come giustizia, polizia e immigrazione, tradizionalmente di competenza nazionale. Si rendeva così necessaria l’elaborazione di una convenzione di applicazione, contenente le modalità della soppressione del controllo delle persone, firmata il 19 giugno 1990 a Schengen.

Il "sistema Schengen" deve essere inquadrato nel più generale contesto di integrazione europea. Fu proprio l’obiettivo di dare concreta attuazione alle disposizione dell’art. 8 A del Trattato di Roma sulla libera circolazione delle persone (in seguito modificato dall’Atto unico europeo), che fornì l’impulso decisivo agli originari cinque Stati firmatari.

Infatti, permanendo le riserve di alcuni Stati membri alla realizzazione in tempi rapidi di uno spazio europeo senza frontiere interne e senza controlli alle medesime (va ricordato che la Convenzione intergovernativa dell’Unione europea sull’attraversamento delle frontiere interne, pur se definita nel giugno del 1991, non è stata ratificata, principalmente a causa della controversia che opponeva Regno Unito e Spagna a proposito di Gibilterra), spazio in cui possano circolare liberamente sia i cittadini comunitari sia gli stranieri extra-comunitari regolarmente residenti nello Stato membro, l’Accordo di Schengen ha rappresentato una sorta di laboratorio all’interno del quale, in attesa di poter realizzare una vera e propria libertà di circolazione delle persone e delle merci in ambito comunitario, gli Stati membri hanno potuto sperimentare le modalità per giungere all’abolizione dei controlli alle frontiere e verificare i problemi conseguenti.

Lo stretto legame con la Comunità europea, nel frattempo divenuta Unione europea, è d’altro canto affermato e ribadito più volte negli accordi di Schengen. Nel preambolo dell’Accordo del 1985, ad esempio, gli Stati firmatari prendono atto sia dei progressi già realizzati nell’ambito della Comunità europea in tema di libera circolazione di persone, beni e servizi, sia delle decisioni assunte dal già citato Consiglio europeo di Fontainebleau.

L’art. 134 della Convenzione sull’applicazione dell’Accordo di Schengen, inoltre, stabilisce che le disposizioni di Schengen siano applicabili soltanto se compatibili con la normativa comunitaria e, allo scopo specifico di assicurare la coerenza delle norme dell’accordo con quelle comunitarie, è stata riservata alla Commissione dell’Unione europea una posizione di osservatore nelle negoziazioni che hanno condotto agli accordi. Si aggiunge, poi, che l’art. 142 prevede che le norme comunitarie che siano progressivamente approvate in materia di libertà di circolazione sostituiscano le corrispondenti norme Schengen, laddove le norme comunitarie contemplino una cooperazione identica o di maggiore ampiezza delle prime.

Si tratta di una clausola che apre al processo di "comunitarizzazione" di Schengen (vedasi cap. 6), consentendo, così, di dare poco spazio alle perplessità che all’inizio si manifestarono sulla reintroduzione di criteri di cooperazione intergovernativa in materie che avrebbero potuto essere sottoposte a un meccanismo comunitario. Le perplessità nascevano in particolare rispetto al ruolo ed alle funzioni del Comitato esecutivo al cui interno, come verrà meglio precisato in seguito, sono rappresentati tutti gli Stati membri e che delibera all’unanimità.

L'Accordo prevede misure a breve termine e misure a lungo termine.

L’Accordo di Schengen, che contiene i principi che saranno poi sviluppati nella Convenzione di applicazione, consta di due titoli:

Titolo I - articolo da 1 a 16 - tratta delle misure a breve termine di carattere organizzativo e amministrativo, che non comportano modifiche legislative. Viene delineata una organizzazione dei posti di frontiera, intesa a facilitare lo scorrimento del traffico delle persone e delle merci;

Titolo II - articoli da 17 a 33 - contiene le misure applicabili a lungo termine ed impegni di principio a negoziare definiti poi dalla Convenzione applicativa. L’obiettivo è quello di eliminare i controlli alle frontiere comuni per trasferirli alle frontiere esterne, anche attraverso l’armonizzazione delle relative disposizioni legislative e regolamentari dei Paesi firmatari in materia di controlli doganali e di repressione dell’immigrazione clandestina. Tra l’altro, vengono stabilite:

la cooperazione giudiziaria e tra le forze di polizia in materia di prevenzione della criminalità (art. 18);

l’impegno all’armonizzazione delle legislazioni in materia di stupefacenti, armi ed esplosivi, dichiarazione dei viaggiatori negli alberghi (art. 19);

l’impegno all’armonizzazione delle politiche sui visti e sulle condizioni di ingresso nei rispettivi territori (art. 20);

l’esame della possibilità di armonizzazione fiscale in sede comunitaria (art. 26).

L’obiettivo dell’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari, oltre a richiedere un impegno generale in tal senso da parte degli Stati contraenti, impegna, come già anticipato, all’adozione di misure di accompagnamento necessarie per giungere a conciliare libertà e mantenimento della sicurezza dei cittadini. Si perveniva così alla Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, che è entrata in vigore il 1° settembre 1993, divenendo operativa solo il 26 marzo 1995 (sul punto vedasi paragrafo 1.3.).

La Convenzione di applicazione dell’Accordo si compone di 142 articoli che riguardano sostanzialmente i seguenti settori:

soppressione dei controlli alle frontiere interne e circolazione delle persone;

cooperazione tra polizie e cooperazione giudiziaria in materia penale e di estradizione;

creazione di un sistema di scambio di informazioni denominato SIS (Sistema informativo Schengen) e protezione di dati personali;

trasporto e circolazione di merci.

In particolare la Convenzione è così strutturata:

Il titolo I -articolo 1 - contiene la definizione dei termini impiegati nella Convenzione;

Il titolo II - articoli da 2 a 38 - affronta il tema della soppressione dei controlli alle frontiere interne ed alla circolazione delle persone. Il titolo II suddiviso per capitoli tratta dei seguenti temi:

passaggio alle frontiere interne (cap. I): è sancito il principio dell’eliminazione dei controlli alle persone, salvo particolari esigenze di ordine pubblico;

passaggio alle frontiere esterne (cap. II): sono stabilite norme comuni di carattere generale ed i criteri di ammissione degli stranieri ai valichi di frontiera;

visti per soggiorni di breve e lunga durata (cap. III): viene assunto l’impegno di adottare una politica comune in materia di politica dei visti e di circolazione di persone. Accordi in tali campi con paesi terzi sono soggetti al consenso di tutte le parti contraenti. E’ prevista l’istituzione di un visto uniforme per soggiorni di breve durata, fino alla cui adozione vi è il riconoscimento reciproco dei visti;

condizioni di circolazione degli stranieri (cap. IV): è stabilito che gli stranieri in possesso di regolare titolo di entrata in una delle parti contraenti possano circolare liberamente nel territorio degli altri per il periodo di validità del titolo;

titoli di soggiorno e segnalazioni ai fini della non ammissione (cap. V): sono disciplinati i casi di rilascio di titoli di soggiorno a stranieri segnalati ai fini della non ammissione;

misure di accompagnamento (cap. VI): sono previste regole che le parti contraenti si impegnano ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali. Si tratta di obblighi a carico del vettore e sanzioni a carico di chi favorisca a scopo di lucro l’immigrazione clandestina;

responsabilità per l’esame delle domande d’asilo (cap. VII): sono riaffermati i principi della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati, senza alcuna restrizione geografia della loro applicazione. Sono quindi stabiliti i principi per l’accoglimento delle domande d’asilo. Sullo stesso tema si ricorda l’esistenza in sede comunitaria della Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri, delle Comunità europee, con processo verbale, siglata a Dublino il 15 giugno 1990, ratificata in Italia con legge 24 dicembre 1992, n. 523 ed entrata in vigore in Italia il 1° settembre 1997. Tale entrata in vigore porta alla disapplicazione delle disposizioni dell’articolo 1 e del capitolo 7, titolo II della Convenzione Schengen come previsto nel Protocollo relativo alle conseguenze dell’entrata in vigore della Convenzione di Dublino al riguardo di determinate disposizioni della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen.

Il titolo III - articoli da 39 a 91 - stabilisce norme comuni in materia di lotta al terrorismo, al traffico illecito di stupefacenti ed alla criminalità organizzata, secondo il criterio per cui la libera circolazione dev’essere temperata da un coordinamento in materia di polizia e sicurezza. Anche il titolo III è suddiviso in capitoli, che trattano dei seguenti argomenti:

cooperazione tra forze di polizia (cap I): è sancito un impegno, nei limiti della legislazione nazionale e delle rispettive competenze, alla reciproca assistenza tra servizi di polizia ed è disciplinato il diritto all’inseguimento nel territorio del paese confinante della persona colta in flagranza di taluni reati;

assistenza giudiziaria in materia penale (cap. II): il capitolo integra le precedenti convenzioni europee in materia di assistenza giudiziaria;

applicazione del principio ne bis in idem (cap. III): è esclusa la possibilità di sottoporre a procedimento penale una persona già giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti in altro paese contraente. Viene fatta salva la possibilità, in virtù della quale, all’atto della ratifica della Convenzione, un paese contraente possa dichiarare di non essere vincolato al suddetto principio in determinati casi;

estradizione (cap. IV): anche tale capitolo mira a completare le norme di convenzioni europee esistenti in materia;

trasmissione dell’esecuzione delle sentenze penali (cap. V): sono previsti meccanismi atti a garantire la continuazione dell’esecuzione della pena di cittadini di un paese contraente che si spostano in altro paese contraente;

stupefacenti (cap. VI): è istituito un gruppo di lavoro incaricato di esaminare i problemi connessi alla repressione della criminalità in materia di stupefacenti. Le parti contraenti assumono inoltre una serie di impegni per quanto riguarda la repressione di tale reato all’interno di ciascun paese;

armi da fuoco e munizioni (cap. VII): è previsto l’impegno all’adeguamento delle legislazioni nazionali in materia alle norme stabilite dal presente capitolo. In particolare sono definite le armi proibite e quelle soggette ad autorizzazione o dichiarazione. E’ quindi disciplinato il rilascio delle autorizzazioni ed è istituita in ciascun paese un’autorità incaricata dello scambio di informazioni.

Il titolo IV - articoli da 92 a 119 - istituisce e disciplina uno schedario informatizzato, chiamato Sistema d’informazione Schengen (SIS), costituito da un’unità centrale con sede a Strasburgo e da diramazioni in tutti gli Stati contraenti. Su segnalazione delle parti, nel sistema vengono inseriti dati riguardanti le persone ricercate per l’arresto ai fini dell’estradizione, gli stranieri segnalati ai fini della non ammissione, le persone scomparse e quelle sotto protezione, i testimoni, le persone ricercate ai fini di una notifica di sentenza penale o che debbono scontare una pena. Anche questo titolo è suddiviso in capitoli:

istituzione del SIS (cap. I): sono stabiliti i criteri generali di funzionamento del Sistema;

gestione ed utilizzazione del SIS (cap. II): sono precisate le modalità con cui vanno effettuate le segnalazioni ed i dati richiesti a seconda della fattispecie;

protezione dei dati personali e sicurezza dei dati nel quadro del SIS (cap. III): sono posti i principi cui le legislazioni degli Stati contraenti debbono conformarsi al fine di assicurare un adeguato livello di protezione delle persone nei riguardi del trattamento automatizzato dei dati a carattere personale.

Con il compito di verificare la corretta esecuzione delle disposizioni della Convenzione per quanto riguarda l’unità di supporto tecnico del sistema informativo Schengen (SIS) è stata inoltre istituita l’Autorità di controllo comune che dispone anche di competenze più generali in materia di protezione dei dati. Tale organo si compone di due rappresentanti di ogni singola autorità di controllo nazionale. L’Autorità di controllo comune è stata insediata a partire dal 26 marzo 1995, data a partire dalla quale, come già detto precedentemente, la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen ha avuto applicazione. Occorre peraltro ricordare che, al fine di creare un centro di coordinamento che garantisse l’osservanza delle regole in materia di protezione dei dati in occasione del loro progressivo inserimento nel SIS da parte di alcuni Stati, un’Autorità di controllo comune provvisoria era stata insediata già a partire dal 1992. Tale organo di carattere provvisorio ha svolto delle funzioni preparatorie a quelle attribuite all’Autorità di controllo comune ufficiale. L’Autorità di controllo comune, oltre al compito di sorveglianza sull’Unità di supporto tecnico, svolge un ruolo di consulenza e di armonizzazione delle prassi e delle dottrine nazionali nell’ambito del funzionamento del Sistema informativo Schengen. L’Autorità di controllo comune è dotata di un proprio regolamento interno ed elegge al suo interno un Presidente e un vicepresidente.

Il titolo V - articoli da 120 a 125 - tratta della circolazione delle merci, ponendo norme tese ad alleggerire o eliminare i controlli alle frontiere interne, controlli che dovranno essere trasferiti all’interno dei singoli Stati. E’ inoltre rafforzata la cooperazione doganale anche attraverso lo scambio dei funzionari di collegamento;

Il titolo VI - articoli da 126 a 130 - riprende il tema della protezione dei dati di carattere personale per stabilire, come ulteriore garanzia, la subordinazione della trasmissione dei dati all’esistenza di una autorità nazionale con funzioni di controllo;

Il titolo VII - articoli da 131 a 133 - istituisce un Comitato esecutivo, all'interno del quale ogni Paese ha diritto ad un seggio. Il Comitato è composto, a seconda della volontà degli Stati, da un rappresentante dei Ministeri degli affari esteri, dell’interno o di grazia e giustizia e si riunisce generalmente due volte ogni sei mesi. La Presidenza è esercitata a rotazione per un periodo di sei mesi, anche se, sulla base di accordi tra Stati, è possibile che essa duri un anno.

Esiste inoltre un Gruppo centrale, formato da rappresentanti degli Stati membri, che tiene riunioni mensili, con il compito di preparare i lavori del Comitato esecutivo e dal quale dipende un apposito Comitato di orientamento SIS.

Infine, il Comitato esecutivo ha creato una serie di Gruppi di lavoro, composti da rappresentanti delle amministrazioni delle Parti contraenti, per facilitare le decisioni del Comitato nei diversi settori strategici dell'Accordo (Gruppo Stupefacenti, Gruppo Trattati, Gruppo SIS, Gruppo Asilo e Gruppo Visti).

Il titolo VIII - articoli da 134 a 142 - contiene le disposizioni finali. In particolare è stabilita la supremazia del diritto comunitario sulle norme della Convenzione e sono poste le condizioni per sostituire le disposizioni della Convenzione in presenza di convenzioni concluse tra i membri delle Comunità europee. E’ infine prevista la possibilità per tutti gli Stati membri CEE di divenire parte della Convenzione.

1.2 Condizioni formali e sostanziali per l’entrata nello spazio Schengen.

La sottoscrizione degli accordi di Schengen da parte dei vari Stati non costituisce l’unica condizione richiesta per l’ingresso nello spazio di libera circolazione delle persone e delle merci.

Occorre differenziare l’entrata in vigore degli accordi dalla loro applicazione, distinguendo, pertanto, le condizioni formali dalle condizioni sostanziali per l’entrata nello spazio Schengen.

Mentre sotto il profilo formale l’ingresso nell’area Schengen dipende esclusivamente dal deposito degli strumenti di ratifica dell’Accordo e della Convenzione di applicazione, che implica l’entrata in vigore dello stesso sotto il profilo sostanziale la relativa applicazione è condizionata alla decisione unanime del Comitato Esecutivo il quale è deputato a verificare, oltre l’entrata in vigore della Convenzione per lo Stato interessato, il rispetto dei seguenti requisiti richiesti per l’ingresso sostanziale nell’area Schengen:

controllo efficace delle frontiere esterne;

la realizzazione di un N-SIS (National SIS) (vedasi cap. 3);

la cooperazione nelle politiche sul diritto di asilo;

l’armonizzazione delle politiche nazionali in materia di visti (vedasi cap. 5);

l’esistenza di una legislazione nazionale sulla protezione dei dati personali secondo i criteri dell’Accordo di Schengen (vedasi cap. 3);

il rispetto delle disposizioni di Schengen in materia di stupefacenti;

l’adeguamento delle infrastrutture aeroportuali (vedasi cap. 4).

1.3 L’applicazione degli accordi negli altri Stati firmatari.

L’Accordo di Schengen e la relativa Convenzione, inizialmente firmati dalla Francia, dalla Germania e dai tre paesi del Benelux, sono stati successivamente sottoscritti da Italia (27 novembre 1990), Spagna (25 giugno 1991), Portogallo (25 giugno 1991), Grecia (5 novembre 1992), Austria (28 aprile 1995) e, nel dicembre 1996, da Danimarca, Finlandia e Svezia. Nello stesso dicembre 1996 la Norvegia e l’Islanda hanno firmato un accordo di cooperazione che ha conferito a tali Paesi lo status di membri associati visto che non fanno parte dell’Unione Europea.

Benché sottoscritta inizialmente nel 1990, la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen è divenuta operativa solo a partire dal 26 marzo 1995 ed esclusivamente in sette Paesi membri (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Spagna e Portogallo).

Occorre subito precisare che - a norma dell’articolo 2, 2° comma, della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, secondo cui ciascuno Stato membro può "per esigenze di ordine pubblico o di sicurezza nazionale" derogare temporaneamente alla soppressione dei controlli alle frontiere interne – la Francia già a partire dal momento dell’entrata in applicazione della Convenzione, ha conservato controlli ad alcune frontiere interne, ritenendo essenziale una simile decisione per fronteggiare l’emergenza terroristica.

Relativamente agli altri Stati firmatari, l’operatività degli accordi di Schengen subentrerà a decorrere dal 26 ottobre 1997 per l’Austria, la Grecia e l’Italia con una differenza, però, tra la posizione dell’Austria e della Grecia da una parte e dell’Italia dall’altra.

L’operatività dell’Accordo di Schengen per la Grecia e per l’Austria è condizionato al deposito della ratifica dell’adesione dei suddetti Stati da parte della Francia e, esclusivamente per la Grecia, anche da parte dei Paesi Bassi.

Il Comitato Esecutivo nella prossima riunione prevista per il 7 ottobre 1997, dovrà verificare, pertanto, la conclusione delle procedure di ratifica degli strumenti di adesione della Grecia e dell’Austria avendo dichiarato – nel Comunicato finale della Riunione del Comitato Esecutivo Schengen tenutasi a Lisbona il 24 giugno 1997 – la ferma intenzione di vedere applicata la Convenzione in Grecia ed in Austria prima della fine del 1997.

1.4 Ratifica degli accordi da parte dell’Italia e ragioni del ritardo nella loro applicazione

Il nostro Paese si avvicinò al gruppo Schengen inizialmente attraverso un dialogo con la Francia che agiva in qualità di mandataria dei cinque Paesi dell’Accordo e, successivamente, con una richiesta di adesione formale, che veniva accolta a condizione che: 1) l’Italia accettasse in toto l’acquis di Schengen; 2) l’ingresso dell’Italia non fosse causa di un rallentamento dei lavori; e soprattutto 3a) si introducesse il visto per la Turchia e per gli Stati del Maghreb; 3b) si firmasse un accordo per la restituzione all’Italia dei clandestini entrati nel territorio di Schengen attraverso il nostro Paese; 3c) si rinunciasse alla riserva geografica in favore dell’Europa dell’Est per l’accoglimento dei profughi.

L’accettazione delle condizioni poste portò l’Italia a partecipare in qualità di osservatore ai lavori per l’applicazione dell’Accordo.

La risposta alla richiesta formale di adesione agli accordi veniva però costantemente rinviata a causa della scarsa fiducia sulle capacità italiane di integrarsi nel sistema Schengen, Destavano perplessità, infatti, le presunte carenze della nostra struttura amministrativa e l’assenza di una legislazione sull’immigrazione. Benché non vi sia uno stretto rapporto di consequenzialità tra l’integrazione nello spazio Schengen e il tema dell’immigrazione, non si può non notare – come sarà meglio precisato nel cap. 5– che la normativa sull’immigrazione contribuisce ad elevare il livello di fiducia degli Stati partners nei confronti dell’Italia soprattutto in relazione alle misure adottate per fronteggiare i flussi immigratori clandestini. Non può, pertanto, meravigliare la coincidenza della emanazione della "legge Martelli" (decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39) - legge con cui l’Italia ha risposto alle due condizioni poste per la propria adesione, quale l’introduzione di visti dalla Turchia e dagli Stati del Maghreb e la rinuncia alla riserva geografica a favore dell’Europa per quanto concerne l’accoglimento dei profughi – con la conclusione del negoziato di adesione dell’Italia a Schengen avvenuta a Parigi con la firma della Convenzione e dell’Accordo il 27 novembre 1990.

Il Parlamento italiano ha autorizzato con legge 30 settembre 1993, n. 388 la ratifica dell’adesione dell’Italia agli Accordi di Schengen.

La legge n. 388 del 1993 oltre alla ratifica dei citati atti internazionali, contiene una serie di norme finalizzate ad adeguare la legislazione italiana agli impegni assunti con l’adesione all’Accordo. Inoltre, la legge individua le autorità competenti a svolgere funzioni di raccordo per diverse procedure; vengono modificate, poi, alcune disposizioni della legge n. 399 del 1990 (legge Martelli) in materia di titoli di ingresso; viene istituito un Comitato parlamentare di controllo incaricato di esaminare l’attuazione ed il funzionamento dell’Accordo (vedi cap. 2). Essendo intervenuto per l’Italia il deposito di tutte le ratifiche da parte degli altri Stati membri, la Convenzione è entrata in vigore il 1° luglio scorso. L’operatività dell’Accordo è stata però per lungo tempo impedita sia dall’assenza in Italia di una legislazione sulla protezione dei dati personali, che il nostro Paese si era impegnato ad emanare all’atto di adesione all’Accordo di Schengen nel 1990, sia dalla mancata realizzazione degli adempimenti relativi al sistema di informazione nazionale, al suo adeguamento al Sistema d’Informazione Centrale Schengen a Strasburgo ed al suo collegamento con Ambasciate, Consolati e valichi di frontiera esterni. Occorreva, inoltre, adeguare le infrastrutture aeroportuali alle esigenze di separazione fisica dei passeggeri provenienti dai voli intra-Schengen da quelli provenienti dai voli extra-Schengen. Non si poteva, poi, non rilevare l’assenza di una legislazione sull’immigrazione adeguata sotto il profilo dell’ammissione e dell’espulsione di cittadini di Paesi terzi.

1.5 Il processo di adeguamento dell’Italia alle condizioni imposte da Schengen

Colmando ritardi di anni, l’Italia ha realizzato le condizioni necessarie per la sua integrazione nell’Accordo di Schengen.

L’assenza di una legislazione sulla protezione dei dati personali è stata superata adempiendo, così, a quanto previsto dalla Convenzione del 1990 che, all’art. 117, prevede che ogni Paese firmatario si impegni a introdurre al proprio interno delle disposizioni necessarie per raggiungere un livello di protezione dei dati di natura personale almeno uguale a quello derivante dai principi della Convenzione del Consiglio d’Europa del 28 gennaio 1981. Tale Convenzione, la cui ratifica è stata autorizzata dalle Camere ormai dal 1989, con la legge 21 febbraio 1989, n. 98, non aveva ancora completato il proprio iter di deposito degli strumenti di ratifica, poiché l’Italia non aveva ancora adempiuto all’impegno, previsto inderogabilmente dalla stessa Convenzione, di adottare una disciplina nazionale sulla tutela dei dati informatici. Con l’approvazione della legge 31 dicembre 1976, n. 675, recante tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, l’ostacolo in questione è stato rimosso.

La seconda debolezza dell’Italia era relativa alla partecipazione al Sistema di informazione Schengen (cap. 3). L’articolo 92 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen prevede – come enunciato nel paragrafo 1.1. - che sia creato un sistema comune di informazione costituito da una Sezione nazionale, istituita presso ciascuno Stato e incaricata di istituire e gestire un archivio di dati su base nazionale, e da una Unità di supporto tecnico con sede a Strasburgo e con il compito di gestire un archivio di dati con il quale sia garantita l’identità e quindi l’omogeneità degli archivi nazionali mediante la trasmissione in linea delle informazioni. Il SIS ha l’obiettivo di garantire, grazie ai dati disponibili per il suo tramite, la sicurezza e l’ordine pubblico ed altresì l’attuazione della Convenzione nell’ambito della circolazione delle persone. Le difficoltà relative al collegamento della Sezione nazionale del SIS con l’Unità centrale di Strasburgo sono state superate con il caricamento dei dati dell’Italia a partire da luglio 1997.

Per quanto riguarda le infrastrutture aeroportuali, poi, l’Italia ha provveduto ad adeguarle alla necessità di una separazione dei voli intra Schengen da quelli extra Schengen (vedi par. 4.3).

Non inferiori sono stati i progressi compiuti in materia di immigrazione se si considera che il Governo ha presentato in Parlamento un disegno di legge sul tema che assume rilevanza ai fini della piena integrazione nello spazio Schengen relativamente alle misure adottate per contrastare il fenomeno dei clandestini, in modo da garantire un’efficace sintonia tra la libera circolazione delle persone e le esigenze di sicurezza.

1.6 Il calendario previsto per la piena applicazione degli Accordi rispetto all’Italia

Lo sforzo compiuto dall’Italia per adeguarsi alle condizioni imposte da Schengen è stato riconosciuto a Lisbona nella riunione del Comitato esecutivo del 24 giugno 1997 durante la quale è stata confermata l’integrazione piena dell’Italia nel Sistema di Informazione Schengen per il 26 ottobre prossimo.

Aderendo ad una richiesta degli altri Stati, l’Italia aveva acconsentito nella riunione dello stesso Comitato esecutivo tenutasi nel Lussemburgo nel dicembre 1996 ad integrarsi nel sistema Schengen insieme all’Austria e alla Grecia. In tale occasione fu però precisato - e successivamente confermato a Lisbona nell’aprile 1997 - che l’Italia sarebbe entrata improrogabilmente nell’area Schengen il 26 ottobre 1997, anche in via prioritaria rispetto ad Austria e Grecia, prescindendo così dalle eventuali difficoltà che si fossero presentate per l’integrazione di questi altri due Paesi.

Nella riunione del Comitato Esecutivo del 24 giugno la Presidenza portoghese ha riconosciuto - come già precisato - il processo di adeguamento compiuto dall’Italia confermando così l’ingresso della stessa nel sistema Schengen a partire dal 26 ottobre sotto il profilo dell’integrazione nel SIS.

Dubbi, invece, sono emersi da parte delle delegazioni degli altri Stati (soprattutto tedesca e olandese) sul rispetto delle condizioni relative ad un controllo e ad una sorveglianza efficaci alle frontiere esterne in Italia. Si è giunti così ad una soluzione di compromesso che ha rinviato alla successiva riunione del Comitato esecutivo (prevista per il 7 ottobre 1997) la decisione del Comitato sull’ingresso dell’Italia nel Sistema Schengen a partire dal 26 ottobre, anche sotto l’aspetto delle infrastrutture aeroportuali e del controllo alle frontiere esterne. Al fine di poter rispettare la scadenza prefissata (26 ottobre) il 17 luglio 1997 si è tenuto ad Innsbruck un vertice dei Capi di Governo dell’Italia, della Germania e dell’Austria per predisporre le modalità definitive dell’abolizione dei controlli di frontiera.

Nella riunione del 7 ottobre 1997 il Comitato esecutivo, prendendo atto dei progressi compiuti, ha deliberato l’ingresso dell’Italia nello spazio Schengen sia relativamente al SIS sia relativamente alle infrastrutture aeroportuali.

2. IL RUOLO DEL COMITATO PARLAMENTARE E L’INDAGINE CONOSCITIVA

2.1. Composizione e compiti del Comitato parlamentare di controllo

La legge di ratifica degli accordi di Schengen (legge 30 settembre 1993 n. 388) ha previsto, accanto alle disposizioni immediatamente attuative dei due trattati, l’istituzione di un Comitato parlamentare incaricato di "esaminare l’attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen" (art. 18).

Il Comitato è composto da dieci deputati e da dieci senatori nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei Deputati in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari.

A norma dell’articolo 18, 4° comma, il Comitato esamina i progetti di decisione, vincolanti per l’Italia, pendenti innanzi al Comitato esecutivo contemplato dal titolo VII della Convenzione di applicazione. A tal fine, per il tramite del rappresentante italiano, che può chiedere il rinvio della decisione ex articolo 132 della stessa Convenzione, il Comitato ha il potere di esaminare il progetto di decisione e di esprimere, entro quindici giorni dalla data di ricezione, un parere di carattere vincolante.

Tali attribuzioni consentono pertanto al Parlamento di intervenire, oltre che con una funzione di controllo, con una penetrante funzione di indirizzo politico nei processi decisionali di Schengen che riguardino espressamente l’Italia, favorendo inoltre un controllo specifico sull’operato del Governo in sede di Comitato esecutivo.

Non si può non sottolineare la peculiarità della funzione consultiva attribuita al Comitato parlamentare: la legge parla espressamente di un "parere vincolante" introducendo, così, un elemento di novità nel raccordo Parlamento-Governo.

La vincolatività del parere induce a riconoscere infatti una funzione di codecisione al Comitato parlamentare nel processo di attuazione della Convenzione di Schengen per i progetti relativi all’Italia. Tale ruolo sostanziale riconosciuto all’organo parlamentare non deve però essere interpretato come un limite posto alla libertà del Governo all’atto della negoziazione in sede di Comitato esecutivo. Al contrario la vincolatività della decisione parlamentare rafforza la posizione dell’Esecutivo che, al tavolo dei negoziati, potrà far valere il sostegno parlamentare irrobustendo, pertanto, la posizione dell’Italia.

Si tratta di un raccordo particolare che, pur se si discosta dalla tradizionale impostazione del rapporto tra Parlamento ed Esecutivo che di norma configura il controllo politico in via successiva e non preventiva e comunque non di carattere vincolante, si giustifica alla luce della natura costituzionale dei principi su cui incide l’Accordo di Schengen, principi tutti racchiusi nella prima parte della Costituzione.

Si tratta, dunque, di operare nel contesto internazionale su temi che non concernono soltanto interessi nazionali contingenti, ma che coinvolgono grandi questioni di principio e di tutela a garanzia anche del singolo individuo. Poiché i diritti inviolabili sono coessenziali rispetto alla forma di Stato vigente, l’intervento vincolante dell’organo parlamentare, cioè di un soggetto costituzionale che ha carattere, attribuzioni e capacità rappresentative diverse da quelle del Governo, si pone non solo a garanzia di tale coessenzialità, ma appare più idoneo ad effettuare quel bilanciamento di interessi che si richiede quando si incide su diritti fondamentali. Il Comitato è chiamato pertanto a verificare se a fondamento di eventuali norme limitative dei diritti in questione vi siano altri interessi costituzionalmente meritevoli di tutela in modo da assicurare la "ragionevolezza" della decisione.

L’importanza e la delicatezza della funzione riconosciuta al Comitato spiegano la rilevata opportunità di avviare, con deliberazione 17 aprile 1997, un’indagine conoscitiva sullo stato di applicazione in Italia della Convenzione di Schengen, al fine di acquisire - come recitano i Regolamenti della Camera (art. 144) e del Senato (art. 48) - informazioni e notizie senza che tale attività conoscitiva diventi strumento di censura politica e di imputazione di responsabilità.

Durante lo svolgimento della sua attività il Comitato ha rilevato la necessità che venga garantito in modo puntuale e costante il raccordo tra il Parlamento e il Governo. Occorre, pertanto, dare piena attuazione all’articolo 18 della legge di ratifica che, prevedendo la già illustrata funzione consultiva del Comitato, richiede un tempestivo intervento dell’Esecutivo, deputato ad inviare al Parlamento i progetti di decisione del Comitato esecutivo vincolanti per l’Italia.

Solo assicurando la funzionalità del rapporto Parlamento-Governo si è in grado di superare le perplessità sul deficit democratico che sembra caratterizzare le decisioni sull’attuazione degli accordi di Schengen: perplessità sicuramente arginabili qualora si consentisse all’organo parlamentare di esercitare la sua funzione tipica attraverso la quale si dovrebbe costituire la decisione preliminare che fornisce l’oggetto del successivo provvedimento che l’attua.

2.2. Cenni sulle modalità di controllo parlamentare sull’applicazione degli accordi di Schengen negli altri Paesi firmatari

La questione di un maggiore controllo operato dai singoli Parlamenti nazionali in relazione alla partecipazione all’Accordo di Schengen ed alla Convenzione di applicazione si riconnette alla questione più generale del deficit democratico che, caratterizzando il funzionamento delle istituzioni dell’Unione europea, riguarda soprattutto i profili per i quali la cooperazione tra i paesi membri è affidata alla dimensione intergovernativa.

In occasione dell’ultima Conferenza interparlamentare sul seguito dell’Accordo di Schengen, che si è svolta a Lussemburgo nel dicembre 1995 (la prossima conferenza si svolgerà nell’autunno 1997), la questione dell’insufficienza del controllo parlamentare in relazione all’applicazione dell’Accordo di Schengen è stata denunciata da più parti. Nel corso dei lavori della Conferenza interparlamentare emergeva la constatazione circa la difficoltà di organizzare un controllo efficiente da parte dei singoli Parlamenti nazionali. Nel corso della Conferenza interparlamentare sono state avanzate proposte volte sia alla creazione di un organismo interparlamentare, sia all’istituzione da parte di ciascun parlamento nazionale di un apposito organismo ristretto deputato al controllo parlamentare sull’applicazione dell’Accordo di Schengen. Soltanto l’Italia ha provveduto in tal senso, mentre in Olanda funzioni di controllo sull’applicazione dell’accordo di Schengen sono state attribuite alla Commissione giustizia del Parlamento olandese.

Non si può non segnalare, poi, che il controllo parlamentare sul funzionamento dell’Accordo di Schengen potrebbe essere - come si legge nella risoluzione A4-0014/97 del Parlamento europeo sul futuro di Schengen - notevolmente migliorato grazie all’istituzione di un gruppo di concertazione permanente composto da rappresentanti delle Commissione competenti dei Parlamenti interessati.

Il Comitato parlamentare intende attivarsi al fine di incentivare la costituzione di un simile organismo interparlamentare che assume un rilievo sempre più decisivo in vista della "comunitarizzazione" dell’Accordo di Schengen e della Convenzione di applicazione, sancita dal Trattato di Amsterdam approvato lo scorso giugno ed in attesa di essere formalmente siglato.

Si tratta di un aspetto che - come si chiarirà nel cap. 6 - è destinato a modificare sostanzialmente le prospettive di controllo effettuato dai competenti Parlamenti nazionali.

La comunitarizzazione dell’acquis di Schengen implicherà sicuramente un coinvolgimento del Parlamento europeo nel processo decisionale con conseguente potenziamento del controllo democratico sulla politica perseguita in tema di libera circolazione delle persone. E’ giusto, però, che in attesa dell’integrazione di Schengen nel quadro europeo le funzioni tipiche di un organo rappresentativo in vista della realizzazione del quadro legislativo e dell’espletamento dei controlli in ordine all’attuazione degli accordi di Schengen siano svolte dai vari Parlamenti nazionali che necessitano però di un punto di raccordo che potrebbe ben essere rappresentato dal gruppo di concertazione di cui parla la risoluzione del Parlamento europeo e della cui istituzione il Comitato intende farsi promotore.

3. IL SISTEMA DI INFORMAZIONE SCHENGEN

3.1. Descrizione generale del Sistema

Il Sistema d’Informazione Schengen (SIS) è un sistema automatizzato per la gestione e lo scambio di informazioni tra i Paesi aderenti alla Convenzione di Schengen.

Il SIS, avvalendosi delle informazioni in esso contenute e conformemente alle disposizioni della Convenzione, ha l’obiettivo sia di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, sia di assicurare l’applicazione delle disposizioni sulla circolazione delle persone. Conseguentemente, il SIS deve consentire di identificare le persone e gli oggetti segnalati, di conoscere le motivazioni della ricerca, di determinare le azioni da effettuare prioritariamente assicurando nel contempo l’incolumità del personale incaricato di effettuare il controllo.

Il SIS è costituito da una sezione nazionale presso ciascun Paese aderente all’accordo (indicata nel seguito come N-SIS) e da un’unità di supporto tecnico situata a Strasburgo (ed indicata nel seguito come C-SIS). Ciascuna struttura (sia N-SIS che C-SIS) possiede una copia identica della base informativa. La base informativa del C-SIS costituisce il riferimento di tutto il sistema. E’ proprio il C-SIS che coordina e controlla l’aggiornamento in tempo reale di tutte le altre basi informative a partire dalla richiesta di un N-SIS.

Il meccanismo di aggiornamento delle basi informative del SIS ha il funzionamento di seguito illustrato:

un N-SIS chiede di effettuare un aggiornamento nella base informativa (nuovo inserimento, variazione di un dato esistente, cancellazione) trasmettendo la richiesta al C-SIS;

il C-SIS effettua un controllo formale della richiesta (non essendo possibile presso il C-SIS effettuare nessuna operazione sostanziale -neppure di visualizzazione- sui dati) e, se il risultato è positivo, aggiorna la propria base informativa;

il C-SIS diffonde l’aggiornamento a tutti gli N-SIS.

L’operazione di aggiornamento di tutte le basi informative degli N-SIS viene garantita con tempi complessivi inferiori ai 5 minuti.

Il sistema informatico del C-SIS è costituito da un sistema di produzione e da un sistema indipendente dedicato alle sole prove. Gli elaboratori hanno tutti sistema operativo Unix configurato per un livello di sicurezza C2. La trasmissione delle informazioni da e per gli N-SIS avviene utilizzando il protocollo X.400 su linee cifrate da apposite apparecchiature. Il nucleo principale del sistema è costituito dal sistema di gestione delle informazioni basato sul prodotto Oracle. Sui dati così memorizzati operano le specifiche applicazioni che si fanno carico, tra l’altro, dell’interazione uomo-macchina.

Il C-SIS, pur non prevedendo allo stato soluzioni di disaster recovery, è certamente pensato per offrire un’alta affidabilità e disponibilità di servizio nel suo funzionamento 24h/24 e 7gg/7. Infatti, è assicurata la completa ridondanza delle apparecchiature di esercizio (sistema elaborativo duplicato con la memorizzazione dei dati su dispositivi in mirroring), lo switch automatico su linee di sicurezza a fronte della caduta delle linee principali, gruppi di continuità con segnalazione di problemi di alimentazione e così via.

Per quanto riguarda la struttura degli N-SIS, va detto che essi, oltre che una struttura tecnica direttamente incaricata della gestione della base informativa, comprendono un ufficio S.I.RE.N.E. (Supplementary Information Request at National Entry) con il compito di mettere in collegamento le autorità giudiziarie e di polizia di un Paese con i loro colleghi stranieri al fine di acquisire le informazioni ulteriori non disponibili nella base informativa del N-SIS. Gli Uffici SIRENE, pur non espressamente contemplati nella Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen, sono riconducibili - secondo una possibile interpretazione - all’art. 108 della stessa.

Per esemplificare il ruolo della base informativa N-SIS e quello dell’Ufficio S.I.RE.N.E., ipotizziamo che da una prima interrogazione rivolta al Sistema dall’operatore di frontiera emerga che la persona che chiede di entrare nel territorio nazionale, e quindi nello spazio Schengen, sia "segnalata"; in questo caso, verrà rivolta una seconda interrogazione (per via telefonica, per fax o per posta elettronica) agli Uffici SIRENE, che forniranno il "supplemento di informazione" richiesto.

3.2. Il N-SIS Italiano

La struttura tecnologica del N-SIS italiano è essenzialmente corrispondente a quella del C-SIS essendo costituita a sua volta da elaboratori con sistema operativo Unix e gestore delle informazioni Oracle. Tale soluzione viene però integrata con quella del preesistente centro elaborazione dati (CED) del Dipartimento della Pubblica Sicurezza basato su mainframe IBM in ambiente MVS, CICS e TPX. Gli inserimenti di dati nazionali nel SIS si innescano proprio a partire da una transazione effettuata nell’ambiente mainframe.

Il N-SIS dipende dal Ministero dell’Interno e coinvolge nel suo funzionamento il Ministero di Grazia e Giustizia e il Ministero degli Affari Esteri (rappresentanze diplomatiche).

Coerentemente alla struttura di ogni altro N-SIS, anche quello italiano è integrato da un Ufficio S.I.RE.N.E., dipendente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale di Polizia Criminale. Si tratta in sostanza di una struttura operativa che impegna il personale delle tre forze di polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza) in funzione 24 ore su 24.

E’ da segnalare, inoltre, che esiste una stretta collaborazione tra gli Uffici SIRENE ed il Ministero di Grazia e Giustizia, che ha costituito all’interno della Direzione Affari Penali Ufficio II, l’Unità Schengen. Questa Unità si occupa di trattare le richieste di arresto provvisorio, ai fini dell’articolo 95 della Convenzione, provenienti dalle Procure Generali e le trasmette agli uffici SIRENE per il successivo inserimento nel SIS. La Divisione SIRENE è in collegamento con tale Unità per la concertazione di qualunque problematica relativa a segnalazioni attive o passive che richiedono un pronunciamento dello stesso Ministero o dell’Autorità giudiziaria competente. I dati ex art. 95 della Convenzione tengono già conto della rispondenza delle segnalazioni all’ordinamento giuridico dei Paesi contraenti.

Un aspetto particolarmente delicato, in relazione alla legge sulla protezione dei dati personali, è rappresentato dal tipo e dalla qualità delle informazioni che gli Uffici SIRENE possono di fatto trattare.

Da un punto di vista complessivo, si può qualificare il Sistema SIS, affiancato dalla rete degli Uffici S.I.RE.N.E., come un sistema di controllo con competenza territoriale sullo spazio Schengen. Così inteso, il Sistema SIS integra nell’ambito Schengen le funzioni svolte su scala globale dall’Interpol.

3.3. Il processo di integrazione dell’Italia nel S.I.S.

Occorre premettere che, affinché un Paese firmatario degli accordi di Schengen sia integrato a livello operativo nello spazio di libera circolazione delle persone ed inserito, quindi, in primo luogo, nel Sistema informativo Schengen, sono necessarie alcune condizioni per così dire "preliminari" ed altre "sostanziali". Quanto alle prime, occorre aver ratificato l’Accordo e disporre di una legge nazionale sulla protezione dei dati personali: l’esistenza di queste due condizioni permette l’avvio di una prima fase di integrazione consistente nel caricamento dei dati dei Paesi (attualmente 7) tra cui gli accordi Schengen sono già operativi sul SIS nazionale, senza però che essi siano di fatto utilizzabili per gli utenti finali (p.e. gli operatori dei singoli posti di frontiera) fin quando non siano realizzate anche le condizioni "sostanziali". Queste ultime consistono nel deposito della ratifica da parte di tutti gli Stati tra cui è operativo l’Accordo di Schengen, elemento questo che, sul piano politico e sostanziale, ricordando che gli accordi di Schengen si fondano sul principio dell’unanimità, si traduce nel consenso complessivo all’integrazione di un nuovo Paese nello spazio Schengen.

Sul piano operativo l’adempimento di queste condizioni "sostanziali" permette l’avvio di una seconda e "definitiva" fase di integrazione nel Sistema di informazione Schengen, consistente nel caricamento dei dati nazionali sul C. SIS di Strasburgo e nell’utilizzazione effettiva su tutto il territorio nazionale e presso le sedi consolari e le rappresentanze diplomatiche dei dati degli altri Paesi.

Quanto all’Italia, per cui sono state soddisfatte sia le condizioni "preliminari" che quelle "sostanziali", terminata una prima fase sperimentale denominata "data loading test" per verificare la congruità e la compatibilità del sistema nazionale con quello centrale di Strasburgo sul piano esclusivamente tecnico, è iniziata il 1° luglio u.s. la prima fase di caricamento dei dati dei 7 Paesi Schengen sul National SIS (che dovrebbe essersi concluso alla fine di agosto) per poi dare avvio alla seconda fase - il caricamento dei dati italiani nel C. SIS di Strasburgo - da concludersi entro il 26 ottobre, data in cui è formalmente prevista l’integrazione dell’Italia nel Sistema informativo Schengen.

Sul piano politico, come su quello operativo, l’integrazione nel SIS è il primo passo verso la realizzazione effettiva di uno spazio di libera circolazione delle persone nello spazio Schengen senza più controlli alle frontiere "interne", in cui sia però garantita la piena sicurezza di quelle "esterne". Il passo successivo affinché l’Italia entri davvero a pieno titolo nello spazio Schengen sarà costituito dall’abolizione dei controlli alle frontiere interne. A tal fine il Comitato esecutivo (l’organo di governo degli Accordi Schengen) dovrà assumere – come anticipato al par. 1.3 - una decisione formale che ne stabilisca le condizioni operative (di fatto anche politiche), per l’Italia - come anche per l’Austria e la Grecia - gli Stati che, a breve, dovrebbero essere integrati operativamente nello spazio Schengen.

3.4. La protezione dei dati personali: l’attività dell’Autorità di controllo comune di Schengen

3.4.1. L’istituzione dell’Autorità di controllo comune

L’Autorità di controllo comune di Schengen (ACC), come già ricordato in precedenza, affianca il Comitato esecutivo ai fini del controllo sulla corretta esecuzione delle disposizioni previste dalla Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen. Se, infatti, al Comita

 

Venerdì, 15 Ottobre 1999