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Rapporto Istat 2014. Diminuisce i tasso di occupazione degli stranieri che lavorano nel nostro Paese

La situazione del Paese - Il tasso di occupazione degli stranieri che lavorano nel nostro Paese si riduce di 9 punti, attestandosi al 58,1 per cento nel 2013. Si tratta di un fenomeno comune alla maggior parte dei paesi europei, sebbene in media il calo sia meno accentuato rispetto all’Italia: il tasso di occupazione dei cittadini stranieri per la media dei paesi Ue28 passa dal 63,0 al 58,7 per cento, con una riduzione di 4,3 punti percentuali per gli uomini e sostanzialmente stabile per le donne.
In Italia, nonostante tra il 2008 e il 2013 gli stranieri occupati siano aumentati di 246 mila unità tra gli uomini e di 359 mila tra le donne, il tasso di occupazione degli stranieri segnala una dinamica negativa in tutti gli anni della crisi, con una accentuazione a partire dal 2012.

Tra il 2008 e il 2013 l’indicatore si riduce di 14,0 punti per gli uomini e 3,4 punti per le donne (pari al 67,9 per cento e 49,3 per cento rispettivamente). Tra gli uomini le riduzioni più rilevanti del tasso di occupazione hanno riguardato soprattutto i marocchini e gli albanesi (circa -19 punti) con un valore dell’indicatore che si attesta al 60,5 e 65,0 per cento), mentre tra le donne scendono soprattutto i tassi di occupazione di moldave, filippine e ucraine (con cali rispettivamente di -11,0, -9,3 e -8,5 punti percentuali e valori dell’indicatore pari a 64,8, 78,3 e 68,1). Peraltro, nell’ultimo anno, il ritmo di crescita dell’occupazione straniera è decisamente rallentato, con un incremento di appena 22 mila unità, dovuto esclusivamente alle donne.

Il mercato del lavoro negli anni della crisi.
L’incremento delle professioni esecutive e nel commercio e nei servizi riguarda invece esclusivamente le donne: per le straniere l’aumento coinvolge prevalentemente le professioni svolte nei servizi alle famiglie (addetti all’assistenza personale), mentre per le italiane la crescita è concentrata nel commercio, nella sanità e negli alberghi e ristorazione.
Si riduce l’occupazione a tempo indeterminato e full time.

Ritorna a calare il lavoro atipico.
Inizialmente la crisi aveva colpito gli atipici per poi trasferirsi anche sull’occupazione a tempo indeterminato; tra il 2010 e il 2012 al calo dell’occupazione standard si è contrapposta la crescita dell’occupazione atipica (contratti a termine e collaboratori) e di quella permanente a tempo parziale. A partire dal IV trimestre 2012 e per tutto il 2013 il lavoro atipico ha ripreso a calare, con un decremento di 177mila unità nel quinquennio (-6,4 per cento) e l’incidenza di questa forma di lavoro che scende all’11,6 per cento. Il calo del lavoro atipico coinvolge soprattutto i collaboratori (-83 mila unità, -17,9 per cento), le donne, l’industria in senso stretto, le attività finanziarie e assicurative, i servizi generali della Pubblica amministrazione e l’istruzione. D’altro canto il lavoro atipico continua a crescere tra gli stranieri, in agricoltura, negli alberghi e ristorazione, nei servizi alle famiglie e tra le professioni non qualificate.

L’unica forma di lavoro che continua a crescere è il lavoro parzialmente standard, vale a dire il lavoro permanente a tempo parziale, che aumenta, rispetto al 2008, di 226 mila unità tra gli uomini e di 346 mila tra le donne. Nel complesso dei cinque anni della crisi, il lavoro parzialmente standard è aumentato in termini relativi più tra gli uomini (+43,1 per cento in confronto a +16,8 per cento delle donne), tra gli stranieri, nei servizi alle famiglie, nei trasporti e comunicazioni e negli alberghi e ristoranti.

Si aggrava la situazione dei cittadini stranieri, che si attestano su un tasso di disoccupazione del 17,3 per cento contro l’11,5 per cento degli italiani. Il divario che era pari a circa due punti nel 2008 è dunque arrivato nel 2013 a quasi sei punti, soprattutto nelle regioni del Centro-Nord. In particolare, la comunità marocchina è quella che segnala un incremento maggiore nel valore dell’indicatore, passato dal 10,7 per cento del 2008 al 27,2 del 2013, arrivando al 38,8 per cento per le donne. La vulnerabilità occupazionale delle donne marocchine, in cui è forte la presenza di madri, prive di sostegni familiari per la cura dei propri figli, si riscontra anche nell’elevato tasso di mancata partecipazione (55,8 per cento).

Ancora più critica risulta la condizione delle famiglie con capofamiglia di cittadinanza straniera.
Nel 2013 le famiglie straniere senza pensionati e redditi da lavoro sono più che triplicate rispetto al 2008, passando da 98 a 311 mila, con un peso relativo che passa dal 7,0 per cento e al 14,9 per cento del totale delle famiglie nelle stesse condizioni. La quota delle famiglie senza redditi da lavoro sul totale di quelle straniere con almeno un componente in età lavorativa arriva al 15,5 per cento (era il 7,4 per cento nel 2008), con un picco nel Mezzogiorno dove raggiunge il 27,0 per cento.
Anche in questo caso, a fronte di un aumento delle famiglie straniere economicamente più deboli, si registra un calo di quelle più forti: la quota delle famiglie straniere plurireddito scende al 24,2 per cento (dal 29,6 per cento del 2008) del totale, il 12,8 per cento nel Mezzogiorno. Anche tra gli stranieri il modello di un unico occupato in famiglia continua a essere quello prevalente, interessando il 58,7 per cento delle famiglie con almeno un componente in età lavorativa (+367 mila famiglie nei cinque anni della crisi). Tuttavia, soltanto nelle regioni settentrionali la componente femminile sembra compensare la perdita di occupazione degli uomini, dove il netto calo delle famiglie sostenute da un unico uomo occupato (dal 44,7 per cento del totale del 2008 al 36,6 per cento del 2013) si associa all’incremento di quelle sostenute da una donna (dal 16,3 al 23,0 per cento). Nel resto del Paese, invece, la quota delle famiglie straniere in cui ad essere occupata è una donna aumenta di poco e non riesce a bilanciare la perdita di occupazione maschile.

Rapporto annuale Istat 2014


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Domenica, 1 Giugno 2014 - tratto da: http://www.istat.it


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