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Stranieri e giusto processo in Italia

I processi a carico degli immigrati irregolari. Cosa può cambiare con gli ultimi provvedimenti varati dal Governo in tema di sicurezza e immigrazione

Gli ultimi provvedimenti varati dal Governo in tema di sicurezza e immigrazione, contestualmente al disegno di legge in via di approvazione al Parlamento, confermando una linea politica di dilatazione dell'impianto sanzionatorio e delle fattispecie relative al soggiorno irregolare, andranno ad intensificare una mole, già significativa, di processi penali a carico di stranieri extracomunitari (130.000 nel 2007). In tal senso, è importante ricordare le relazioni d'apertura degli ultimi due anni giudiziari della Corte di Cassazione. Da questi testi si evince chiaramente il sensibile e costante aumento registrato, in questo biennio, dalle violazioni delle leggi in materia di immigrazione (65% in più).

Questa constatazione non vuole rilevare il mero rischio di un'ulteriore sovraccarico del sistema giudiziario italiano, bensì, intende riportare alla luce del dibattito alcune autorevoli osservazioni riguardanti l'opportuna organizzazione di un giusto processo per lo straniero in Italia. Occorre, in primis, ricordare che sono passati appena quattro anni da quando la Corte Costituzionale impose al legislatore (sentenza n. 222/04) la revisione dell'art. 13 del Testo Unico sull'immigrazione (d. lgs. 286/98 e succ. mod.), relativamente all'immediata esecutività dei provvedimenti di espulsione degli stranieri da parte del Questore, con conseguente compressione della tutela giurisdizionale di una misura limitativa della libertà personale. La legge n. 271/04 si preoccupò di colmare tale incongruenza scaturita dal testo della l. n. 189/02 (Bossi-Fini) che, come noto, intervenì sul Testo Unico della disciplina sull'immigrazione, prevalentemente, attraverso sostituzioni ed abrogazioni di articoli e commi. Questo passaggio aiuta a comprendere la sostanziale fase embrionale in cui il diritto dello straniero ha navigato e naviga tutt'oggi. Il riscontro è di semplice attuazione, non solo alla luce degli standard dei principali paesi in cui vigono democrazie costituzionali, ma anche e soprattutto, alla luce di importanti norme contenute nel diritto internazionale, come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 1950), e in ragione della rilevanza costituzionale di alcuni principi, tra cui, certamente, l'art. 111 che novella il giusto processo regolato dalla legge.

La giurisprudenza, successivamente ad alcune pronunce sull'opportunità di rivedere l'entità delle sanzioni connesse al soggiorno irregolare (da molti invocate per la loro natura amministrativa), invitando il legislatore ad ispirarsi ad un criterio di proporzionalità della pena, vive un'ulteriore e rilevante fase di innovazione con la sentenza della Corte Costituzionale n. 254 del 2007. Nello specifico, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia poneva il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 102 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevede la possibilità, per lo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato, di nominare un proprio interprete di fiducia. Il Giudice rimettente osservava che tale omessa previsione non può essere in grado di garantire, allo straniero che non comprende la lingua italiana, il pieno esercizio del diritto di difesa, causando, così, un evidente vulnus costituzionale: ""La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione", (Costituzione, art. 24, commi 2 e 3). Il Giudice, dunque, ha messo in evidenza che, se da un lato, le norme sul patrocinio a spese dello Stato risultano applicabili anche agli stranieri, dall'altro, proprio nel rispetto dei suddetti principi, non può essere negata loro la possibilità di nominare un interprete di parte, in quanto figura fondamentale nell'autonomia della difesa.

La questione, di non poco conto, riguarda l'indispensabile rapporto fiduciario che dovrebbe sussistere tra l'imputato straniero e l'interprete, non solo, al fine di garantire la percezione globale dell'intera vicenda processuale, ma anche e soprattutto, per quanto riguarda la qualità del rapporto tra assistito ed avvocato assegnato d'ufficio, ove dovrebbero sussistere elementi di riservatezza e fiducia. Si intuisce quanto questa rete di rapporti, così come la corretta visione d'insieme, possano risultare determinanti per la tutela dell'imputato, in particolare, per quelle fattispecie in cui vige la necessità di circostanziare il caso per la determinazione di un provvedimento. La suddetta problematica viene, poi, adeguatamente amplificata dal fatto che gli interpreti nominati d'ufficio, in Italia, non vengono selezionati sulla base di un ordine professionale istituito a norma di legge, così, talvolta, ci si trova di fronte a soggetti privi di adeguati titoli di studio, talvolta, fiduciari senza una preparazione adeguata al contesto.

Dunque, la Corte Costituzionale ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 102 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui non prevede la possibilità, per lo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio interprete." Il solo dispositivo della sentenza, tuttavia, non sembra essere sufficiente a rendere l'idea della rilevanza di questa pronuncia, anche se nel passaggio citato traspare in modo palese il vuoto legislativo sulla materia; la Corte ha, infatti, sottolineato e concluso in questo modo: " Resta fermo che il legislatore dovrà compiutamente disciplinare la materia inerente a questa figura di interprete".

Nella stessa direzione si inserisce la sentenza della Corte di Cassazione n. 4929 del 7 febbraio 2008, nella sua specifica funzione di assicurare l'uniforme interpretazione delle norme da parte dei Giudici. In sostanza, essa prevede l'estensione dell'obbligo di tradurre, nella lingua dell'imputato, tutti gli atti scritti del procedimento penale (nella fattispecie la sentenza), al fine di consentire la più ampia comprensione dell'accusa formulata all'imputato ed il compimento degli atti a cui partecipa.

Questa breve trattazione di alcune delle pronunce più significative di questi ultimi anni ha cercato di evidenziare, da un lato, la straordinaria mole e peculiarità dei processi riguardanti gli stranieri irregolarmente soggiornanti, non sempre in concomitanza con l'aver commesso dei reati penali derivanti da un'agire criminoso, dall'altro, l'urgenza di una maggiore attenzione da parte del legislatore, non soltanto alle questioni che riguardano la repressione degli aspetti, per così dire, patologici del fenomeno immigrazione, ma anche all'adeguamento della prassi giudiziaria ad alcuni degli standard fondamentali che caratterizzano lo svolgimento di un giusto processo, ovvero, la giusta considerazione della tutela dei diritti fondamentali dell'imputato.

 

di Andrea Villa - Dottore in Sociologia, autore e studioso in materia di immigrazione
11/07/2008